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      Qual maraviglia perciò se, verso chi era depositario d'un documento sì fatto l'ira congiurata di padroni e di servi - intesa a sopprimerlo, ad annientarlo, a dissiparne perfin la memoria, - insidiosa ed efferata parte adoprasse le corruzioni e le lusinghe; parte le soperchierie e i tranelli e i processi diffamatorî, colle torture ad un'ora e la morte e la infamia?
      Ma innanzi ch'io m'addentri a chiarir meglio queste gravi affermazioni, comprovandole, ragion vuole ch'io dichiari in forza di quali circostanze il general Garibaldi volse l'animo a dettare questo suo Testamento politico; - come, dove, quando esso venne in mia mano - e perch'io ho indugiato cotanto a darlo fuori.
      Ma quand'io avrò resa ampia ragione del tutto, e fuse e ricongiunte in un insieme armonico le parti disaggregate del testo, e datoci omogeneità e coerenza; - quand'io avrò, col fuoco della sua parola, fatto capace ogni italiano com'egli considerasse una vera dissolutezza politica, un vero delitto di lesa nazionalità la progettata a que' dì, ed oggimai consumata alleanza tra Italia, Austria e Prussia - contraria all'unità proclamata da' plebisciti, epperò infamia pessima di questi tempi - quand'io avrò, con elaborato proemio ed opportuni commenti, fatto risaltare l'utilità e la grandezza di que' suoi precetti, di quelle sue convinzioni inconcusse che furono la religione degli estremi momenti del viver suo: - quand'io insomma avrò, per conto e per ordine di lui, emesso questo grido d'allarme, questo baldo eccitamento a riunirci in un fascio contro l'inimico comune per non patire ulteriori vergogne e sciagure; - questo rimprovero per quelle incommensurabili da tanto tempo patite; - non sarà egli per avventura troppo tardi?


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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