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      E tolga il cielo ch'io di ciò accusi Italia, ma sì la rea fazione ch'oggi avvilisce l'Italia.
      In questi accenti Garibaldi, infiammato di sdegno generoso, prorompeva or fa bene un decennio. Oh se quand'egli deponeva in carta codesti concetti virili, avesse mai potuto penetrare che sarebbe pur giunto quel dì fatale in cui ministri italiani - fattisi spasimanti e infervorati campioni dell'Austria e degli austriaci interessi - avrebbero la fronte di presentarci come un mistico connubio questo patto internazionale ch'altro non è se non se uno stupro politico? Oggi che coll'occupazione delle più inospiti plaghe africane si vogliono alienati li Italiani dalle loro più legittime rivendicazioni nazionali?
      Non però mi posso tenere che non riporti altresì questi altri aforismi, che con differenti, ma sempre accese espressioni, vanno esplicando l'istesso concetto su cui non rifinisce d'insistere.
      Udite quel che suonano e come tuonano le parole di lui:
      - "Badate bene a questo, o Italiani. Collegandoci coll'Austria noi ci chiariremo implicitamente partigiani dell'iniquità, inimici di tutti i conculcati, devoti agli spogliatori, contrari a tutti li spogliati."
      - "Non patteggiare coll'Austria giammai, da che ciò torna lo stesso che sancire le sue usurpazioni, riconoscerla stato legittimo e duraturo al paro degli altri."
      - "Ben sapete, o Italiani, quanto vuolsi universalmente procedere cauti a rincontro di chi per lo innanzi già ti s'appalesava, non che nemico, carnefice. Troppo più dunque ci bisogna avere il piè di piombo, quando codesto nemico che ci vuol essere amico chiamasi Austria.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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