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      Apostolo ispirato della Nazionalità degli oppressi, egli in questa forma tuona dunque contro l'opera infame di quel governo divoratore:
      - "Possiamo noi, Romani d'occidente, assistere impassibili allo strazio inverecondo de' nostri disgregati fratelli, i Romani d'oriente? Possiamo noi patire tant'oltre la più svergognata manomissione di quanto un popolo ha su questa terra più caro: favella, costumi, tradizioni, riti? Possiamo noi tollerare più lungamente depressa codesta nobile stirpe romana dal gentil ceppo Ario, per opera dell'orde finniche dal barbaro ceppo Turanico? Possiamo noi sopportare che i pronepoti di Trajano gemano più a lungo sotto il flagello de' preposteri d'Attila?"
      - "Noi dobbiamo volere che la Romania sia espurgata dalla scabbia austro-magiaro-tedesca. Ed essa allora ci apparirà quale fu ed è sempre in effetto, cioè nazione eminentemente romana, avvinta a noi da simpatie, da tradizioni, da affetti, da sangue."
      - "Le terribili fiumane invadenti di cento popoli barbari non valsero a cacciar mai i Romeni dall'altipiano di Transilvania. Tanto meno dunque riusciranno oggi i Magiari a scalzare o, come che sia, ad alterare l'opera immortale di Trajano e di Roma!"
      - "La diuturnità dell'impero d'Austria e d'Ungheria in quelle provincie, non valse a torre mai a que' popoli fratelli nostri, vuoi la nazionalità loro spiccata e distinta, vuoi la costante aspirazione a riacquistare l'egemonia propria, vuoi l'abborrimento a' due governi oppressori e stranieri."
      Egli passa dipoi a ricordare come fra il Tibisco e il Corosco e questo fiume e la Maros, sono le grandi alluvioni magiare, - che violentano gli uomini e fanno forza alla natura, - alluvioni c'hanno forzato i Romeni ad emigrare in falange serrata a mezzodì, trapassare il Danubio e rifugiarsi in Serbia, fermando sede tra la Morava e il Timok.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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