Esso resulta quasi un commento vivo, eloquente alla venerata parola di Garibaldi, e concorre opportunissimo a raffermere i suoi sensi magnanimi.
Rimemorato in esso come "l'imperatore Traiano ci ha qui trapiantati dall'Italia e da Roma, perchè fossimo sentinella avanzata dell'Imperio e forieri di civiltà, di fronte a' barbari del settentrione e dell'oriente": dopo aver rilevato "che oggidì dopo 18 secoli "la nostra missione perdura quale fu nel passato;" passano a dire come i Magiari, progenie degli Unni, s'industriano fare d'una falange compatta di ben tre milioni di Romeni ciò che i Turchi, loro consanguinei, al primo loro giungere in Europa, non s'attentarono fare se non se d'un ristretto numero di schiavi presi in guerra - quello che il poeta Chiabrera con frase scultoria definiva; giannizzerar gli infanti.
Gli Ungheresi in sostanza smaniano di magiarizzare fin dalla culla - conforme viene con prove evidenti chiarito nel prosieguo della memoria - i figli de' nostri fratelli della Transilvania, della Temesiana e della Marmazia, come già i Turchi reclutavano tra' fanciulli cristiani la più truculenta falange dell'esercito loro, (i Giannizzeri anzidetti).
Ora, continua il memorandum della Gioventù Universitaria Romena, come i Turchi resultarono mai sempre cattivi vicini, formidabili depredatori, ma padroni nostri non mai, così i Magiari si sono assunti un còmpito iniquo, come che la furia loro verrà rintuzzata dalla etnica nostra persistenza messa le tante volte a così dura prova, e da tanto tempo.
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