A mezzo l'anno 1878 io movevo alla volta della Romania, per invito espresso del General Garibaldi. Quale la mia missione colà, superfluo accennar per adesso, non correndo stagione propizia a rivelazioni complete. Tant'è: al Generale stava a cuore d'accomunare colla nostra la causa della Nazion Romena, di cui sol una parte è indipendente e libera: la Moldavia e la Valacchia. L'altre, come la Transilvania, la Bucovina, la Marmazia, soggiacciono conculcate dalla ferrea mano dell'Austria-Ungheria. Il concetto del Generale era quest'uno, conforme dal fin qui esposto risulta ben chiaro: Comune abbiamo il nemico: - l'Austria - oppressi per sua opera noi, figli d'Italia, figli di Roma. A quest'effetto immedesimiamo con i medesimi fini i medesimi intenti, le forze, l'aspirazioni per debellare concordi chi ne contrasta Nazionalità, chi ne contende unità.
Io trovavo fra quel nobile popolo di romana progenie elementi preziosissimi e un tesoro di rancori lungamente repressi per le persecuzioni accanite onde, Transilvani e Temesiani in ispecie sono fatti bersaglio dal regime feroce austro-magiaro.
Li emigrati Transilvani anzi tutto, di cui Bucuresci allora com'oggi regurgitava, strinsero meco rapporti indissolubili, alimentati da mutue sofferenze, da mutue simpatie: ed io allora che già da pezza davo opera a familiarizzarmi col dolce idioma semi-latino di Romania, pubblicavo il diario la Voce d'Italia nelle due lingue sorelle italiana e romena.
Avevo già dato fuori un opuscolo politico: la Romania davanti all'Europa, in cui propugnavo le sacrosante ragioni, i diritti imprescindibili de' Romeni di fronte all'Austria oppressora; ed esso ed il giornale mi cattivavano le simpatie di quanti sono patrioti fra quella progenie dalla fibra eroica, riconoscente.
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