Ma ritorniamo donde ci partimmo.
Chč non mi posso tener dal riferire come, standomi sempre nell'animo la Romania, colle sue rivendicazioni politiche, - conformi in tutto alle nostre - io, poco avanti delle cose anzidette, m'ero adoprato per ottenere la cattedra di libero docente all'Universitā di Roma per la lingua, la storia, la letteratura romena.
Ben č vero, pur troppo! A Parigi, a Berlino, a Vienna, a Dresda, a Montpellier ed altrove, fioriscono cattedre per l'insegnamento di quest'interessante idioma neo-romano che tanti serba punti di contatto colla nostra favella italica, ed universalmente co' nostri dialetti(70). Dove che in Roma, cittā madre-patria di que' nostri fratelli di Romania, una cotanta cattedra fa difetto ancor di presente.
Era ministro per l'istruzion publica in quel torno un tale Baccelli, che mi fe' dir senza ambagi come, dietro i rapporti avuti sul mio conto - verosimilmente da Vienna - ei paventava ch'io convertissi la cattedra in palestra politica.
Concorrevo in allora a due posti di lingua e letteratura italiana vacanti di corto in Cremona ed in Mantova. Dimandavo conseguirli per esami o per titoli, e produssi la mia Carta Dantesca(71), ed altri lavori letterari. Mi si tenne a bada lungamente, mi si fe' sciupare non so quanto denaro in istanze bollate, e ultimamente i due posti venivano accordati a due oscuri figli di male femmine raccomandati dalla moglie d'un ministro.
Amareggiato ed ansioso, vivendo in continuo sospetto, non intesi dunque a sordo il consiglio di Garibaldi, e dilungatomi dall'Italia, riparai in Francia, fermando sede in Parigi, allora e poi a me stanza onorata e sicura.
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