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      Schiacciato dall'angoscia e dall'infamia, disfatto nel morale e nel fisico, rovinato nella sanità e negli averi, ei non risorgerà mai più. Nè mai più s'attenterà di produrre quel documento infestissimo. O, dov'ei pur lo facesse, gli Italiani più non accorderanno credenza a lui, venuto in mala fama presso l'universale."
      E così fui condannato con imboscata magnifica, con imperturbabile audacia, e per sorpresa e in contumacia, a 5 anni di carcere.
      Nulla mi valse una vita integra e modesta, tutta consacrata alla patria e agli studi(74).
      L'Austria imponeva: essi ubbidivano.
      E veramente, o come poteva farsi sentire la sacra voce della Giustizia e della Legge, frammezzo all'oscene tresche della triplice fescennina alleanza?
      Che maraviglia è se Libertà, Nazionalità e Giustizia languono inferme, semispente a' dì nostri, in cui veggiamo preposti alla guardia d'esse i liberticidi, i vicarî imperiali, che, come ieri prostituivano l'onore d'Italia, così ne hanno venduto oggi la giustizia, pronti domani a trafficarne l'indipendenza?
      Oh come Garibaldi ben s'apponeva nell'erompere in questa esclamazion fatidica: "O Italiani, quanti intravedo delitti all'ombra del tricolore vessillo, - sotto il manto della giustizia incorruttibile, - in nome della santa Libertà!"
      Ecco perchè, o miei concittadini, non basta l'avere combattuto a tutela di codesti sacrosanti principî: vuolsi altresì saperli conservare, massime oggi ch'essi sono oltre modo periclitanti fra noi.
      E dopo queste ed altrettali sozzure, forza è rinnovare il nome e la fama nostra, ritemprandole con lunga espiazione d'opere grandi e rigeneratrici.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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