Quì - non potendo altro per ora - mi s'affaccia occasione propizia di tramandare all'esecrazione degli Italiani i nome di que' legulei - tutti colleghi in tanta scelleratezza; tutti devoti d'Austria e di Venere callipige - che dalle leggi sì chiare, cavarono sì torbidi, ambigui responsi a mio pregiudizio.
Ben mi duole, egli è il vero, d'insozzar queste carte con nomi così meretrici; ma pur troppo anco l'infamia ne porta seco delle esigenze impreteribili.
Primo tra quelli un Marsengo Bestia Ignazio, cui venne inflitta poco dipoi una decorazione ed una promozione: il cui nome figura pur sempre nell'Annuario zoologico giudiziario; segno evidente di servigi graditi, capiti, compensati a ribocco.
Secondo un Poggi, cui Genova subiva ancora pur dianzi sostituto procuratore del re.
Terzo, e degli altri non meno spregevole, il mio avvocato difensore Giacomo Borgonuovo, pachiderma togato, che con rea trama prestabilita s'industriava in maniera, da farmi condannare in contumacia, ancorchè allora e poi io mi trovassi presente in Genova.
Entrerò a suo tempo ne' dettagli obbrobriosi del fatto, specificando con quanti cavilli tradito, con quanti raggiri lacerato. E spero e confido che il foro genovese, ricco di personaggi riguardavoli e onesti, non sì tosto appurata la perversità di quell'uomo e di quell'atto, saprà ben esso prendere una risoluzione conforme alla dignità propria.
Intanto a me è d'avanzo dichiarare quel giudizio non chiuso, bensì ancora pendente.
E siccome io m'ebbi sempre per indubitato che la popolare giustizia avrebbe, quando che fosse, fatto un degno, efficace contrapposto a quella mostruosità inqualificabile, così ad essa oggimai faccio io publico appello.
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