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      Sì, confidato nella giustizia del popolo italiano, io m'appello - come diceva quel macedone condannato a gran torto - a Filippo digiuno. Nè con ciò intendo io già di alludere a giudici più imparziali o più onesti - chè penerei tanto quanto a trovarli in Italia a' dì nostri - bensì al popolo italiano, digiuno, cioè puro da contatti e stravizi oltramontani, nè contaminato da tabe austro-prussiana.
      Perchè, come non riconosco in legulei partigiani e venali la facoltà di deprimere infamando, così del pari disconosco in essi il diritto di riabilitare assolvendo.
      Laddove un diritto consimile consento pieno e legittimo in quegli enti liberali che nè pressione subiscono, nè dipendenza od emolumenti vuoi da Vienna o da Roma - quali sarieno; a mo' d'esempio, i sodalizi democratici, e le società operaie della penisola nostra. E mi recherò a grand'onore e a ventura singolare se taluna fra quelle benemerite consociazioni di Genova stessa, vorrannocostituirsi in alta corte di popolare giustizia per giudicar me, i miei oppressori, i miei giustizieri, i quali per aver recato cotanto sfregio alla Giustizia, non si pensino già d'averla in ogni tempo a lor posta, nè poterle far sempre e impunemente così aperta violenza.
      Certissimo come sono fin d'ora che i giudici del popolo intenderanno la Giustizia per tutt'altra via che non è quella che mena a Vienna ed a Roma. E m'acqueterò di buon grado nella deliberazione loro - riposandomi in tutto ch'essi saranno per giudicare - con tanta maggior fidanza, quanto so ch'essi non saranno mossi che dalla brama di ricercare il giusto e di veder trionfato il vero.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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