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      Ma pensando a un passato che fa rabbrividire - meditando sul presente obbrobrioso, - io mi dimando, o Italiani, se noi possiamo tollerare per l'innanzi che quell'Austria - cagione un tempo d'ogni nostra calamità publica, - sopravvenga di presente ancora a martoriarci con calamità private. Dissanguati per l'addietro, flagellati a sangue dall'Austria micidiale: piegheremmo oggi il collo, lasciandoci assassinare di seconda mano per conto di lei?
      Non vi par egli gran tempo, o miei Concittadini, di combattere anzi l'inimico che lasciar torturare il cittadino? Non vi par giunta l'ora d'inaugurare anzi la politica di rivendicazione, che quella di codarda acquiescenza a fastidiosi raggiri?
      Che se all'Austria e a' suoi valetti torna bene deprimere i patrioti con trucissimi atti, ben è ragione che le vittime a posta loro li segnino in fronte con memorabili scritti, e più memorabili fatti.
      Antivedo bensì che dopo li strazi inauditi non ha guari sofferti, oggi che mi presento agli Italiani reo d'aver serbata nel petto l'estrema voce di Giuseppe Garibaldi - 8 mesi dopo la più che quinquenne cattività esecranda - vedrò rovesciarmisi addosso tutta l'infesta marmaglia delle questure: tutta quell'altra che pullula in ghetto: quella nefanda che imbratta gazzette; la quale griderà forte per soverchiare i gemiti del tradito, per attutire il risentimento della vittima(79).
      Ma la vostra approvazione, o miei Concittadini, m'affida. Essa sarà il balsamo d'ogni mia ferita, il guiderdone d'ogni sofferenza tollerata dall'amico, dal compagno d'armi di Giuseppe Garibaldi.


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Testamento politico del generale Garibaldi e lettera memoranda agli italiani
di Enrico Croce
Alberto Savine Editore
1891 pagine 188

   





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