LETTERE(80) DI GIUSEPPE GARIBALDI
Di cento e più lettere che il Generale Garibaldi m'indizzava in varî tempi, dispongo cronologicamente queste poche superstiti, già publicate in differenti periodici italiani. L'altre furono ingoiate dalla gran rapina poco innanzi accennata.
Come che estranee la più parte a quanto ci preoccupa adesso, pur tuttavia esse sono confermazione eloquente dell'amicizia e dell'affetto che il Generale mi portò vivissimi sempre, e cui pose il suggello colla missione gloriosa e pericolosa ormai nota.
L'altre di F.D. Guerrazzi, prosatore insigne e patriota e uomo di stato, mostrano che, fino dagli anni miei teneri ebbi commercio di lettere e godetti anche la stima di quell'insigne personaggio.
L'ultima finalmente di Giosuè Carducci, ne chiarisce com'egli, a que' dì, sapeva manifestare ancora sensi dignitosi e virili, avanti che l'Italia contasse in lui un cortigiano di più, com'essa ora a buon dritto lamenta un cittadino di meno.
Lascio indietro poi, come assolumente superfluo, un lungo, nudrito e interessante carteggio letterario con Niccolò Tommaseo, Pietro Fanfani, G.B. Giuliani, Giuseppe Dolfi, Gladstone e via dicendo.
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Iª
Caprera, 11 febbraio 1838.
Caro Croce,
L'Italia non sarà mai libera e prospera coi Preti.
VostroG. GARIBALDI.
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IIª
Caprera, 22 giugno 1869.
Mio Caro Croce,
Il baratto di Nizza è stato la conseguenza dell'ambizione sfrenata del Sire Francese, rappresentante oggi il cattivo genio del mondo, e della vilissima condiscendenza d'uomini che, sotto il pretesto del bene d'Italia, l'hanno deturpata e la mantengono serva tutt'ora.
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