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      Si vuol di piś? Vi ho notati molti passi che Virgilio ha poscia imitati colle stesse parole, quale č, per esempio, quello con cui il sannita Ponzio, parlando de' suoi maggiori, li chiama "gente dura, nata dai duri tronchi degli alberi". Questi passi e mille altri simili, che il lettore potrį osservar da se stesso, mostrano, nel medesimo tempo, ed il pregio di questo manoscritto e la sua autenticitį.
      Nulla dirņ in sua lode: il solo nome di colui che ne č l'autore, o almeno il personaggio principale, basta a commendarlo. Parlerņ solo di ciņ che vi si č aggiunto.
      Oltre le molte citazioni e quasi direi concordanze cogli scrittori meno antichi, delle quali giį ti ho fatta menzione, mio avo vi aggiunse talune dilucidazioni ai luoghi ne' quali il testo pareva oscuro e qualche supplemento ove vi era qualche lacuna. Tutto ciņ che vien da mio avo si troverį segnato con un asterisco.
      In quanto a me, il primo dubbio che nacque nella mia mente fu sull'epoca del viaggio che formava il soggetto del manoscritto. Dopo molte indagini, ho creduto poterla fissare sotto il consolato di Appio Claudio e di Lucio Camillo. Troppo chiara č la testimonianza di Cicerone, il quale parla di ciņ come di cosa certa, narrata a lui da Catone ed a Catone da Nearco tarantino, discendente di quello stesso Nearco che avea conosciuto Platone in Taranto e frequenti ragionamenti avea avuti con lui(2). Il consolato di Claudio e di Camillo cade nell'anno di Roma 406. Il trovarsi nell'opera molte volte nominato un Nearco, ed appunto in quel ragionamento di cui parla Cicerone. mi ha indotto a seguire senza altro esame l'epoca segnata da lui.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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