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      Se mai io fossi fondator di cittá, prima di tutto vorrei eguagliare la condizione de' due sessi. Taluni han riso di questo mio detto, ed han domandato se io credeva seriamente che una donna potesse brandir l'asta e correr tra le prime file in faccia all'inimico. Ma qual necessitá che vi corrano? Io parlava di giustizia eterna, ed essi parlavan di quella convenienza che cangia a seconda de' tempi e de' luoghi(18). È giusto che una metá del genere umano possa fare, al pari dell'altra, tutto ciò che vuole? Ebbene: ordinate le vostre leggi secondo la giustizia: gli uomini vedranno tra loro ciò che è utile. Ma senza il giusto l'utile non vi può esser mai, perché, non essendovi l'eguaglianza, non vi può esser la scelta.
      La scuola pittagorica è stata la sola che finora abbia compresa questa veritá, ed ha prodotto ne' costumi d'Italia quell'utile cangiamento, che tanto oggi distingue le donne italiane da quelle che abitano di lá dal Ionio. Prima, in queste cittá si tenevan le donne come tra noi. Pittagora vide quanto importasse alla riforma del pubblico costume il nobilitar la condizione di moglie e di madre; quanto importasse allo stabilimento della sua setta il guadagnar le donne. Guadagnò queste, offrendo loro quella condizione civile che non aveano; e riformò i costumi, rendendole, con bene istituita educazione, degne del nuovo loro grado. Una di queste due cose, che Pittagora non avesse saputo fare, avrebbe prodotto piú male che bene. Né mai riformator di cittá e di religioni giunse al suo intento, se non seppe guadagnar gli animi delle donne, le quali, come dotate di spiriti piú mobili e piú pieghevoli e di piú calda fantasia, e risentono e comunicano piú facilmente l'entusiasmo necessario nelle grandi riforme.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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