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      Il parasito, che fino a quel punto non avea aperta bocca se non per mangiare: - E finiscila - incominciň, - finiscila, cara la mia Isostasietta, con queste tue filosofiche ciance. Io non so che ci trovi di bello. Beviamo, beviamo un'altra volta, e poi un'altra ed un'altra; beviamo sempre; viviamo contenti, e non c'imbarazziamo di nulla. La mia filosofia č tutta in una buona mensa: essa mi č madre, mi č padre, mi č tutto. Virtú, doveri, eccelsi gradi, ambascerie, comandi di eserciti, non hanno nulla di reale, e svaniscono come un fumo in seno del nulla. Tra poco verrá l'ora della morte, amici miei, e non ci troveremo altro che quello che avremo mangiato... Ragazzo, recami qualche altra cosa: io ho fame ancora. Recami una placenta.
      - Come la vuoi? tarantina, crasiana, sicula, pauliana(35)?
      - Recamene di ogni sorta.-
     
     
     
      IX
     
      DI CLEOBOLO
     
      [Morale e vita del parassita - Quel che gli manchi per essere un vero amico.]
     
      Ogni mestiere ha le sue regole; ogni uomo ha la sua morale. Hanno la loro morale anche i parasiti.
      - Salute, o Cleobolo - mi disse Titamallo(36), il giorno seguente. Io stava con Platone nella curia, osservando l'immenso candelabro che Dionisio, non son molti anni, ha donato ai tarantini e che tien tante lampadi quanti sono i giorni dell'anno(37).
      - Salute.
      - Io ti ho conosciuto ieri nel portico di Ercole, insieme con Nearco e Mnestero, e mi sono innamorato di te, o Cleobolo. Mi piace l'amor che tu porti alla filosofia. Č vero che ieri ne dissi un poco di male. Ma che vuoi fare?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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