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      - Tu vedi - mi diceva Clinia, passeggiando per la biblioteca, - tu vedi il deposito di tutto ciò che gl'italiani hanno pensato. Le scienze sono tra noi molto antiche. Ne' primi tempi esse furon semplici e si occuparono di pochi oggetti. Col correr degli anni, il numero di questi si accrebbe, ed è stato necessario introdurre tra li medesimi delle nuove divisioni, le quali, mentre favorivano il piú profondo esame di ciascuno, impedivano la confusione di tutti. L'ordine, che tu osservi nella disposizione di questi volumi, dipende dalla divisione che si è seguita nelle idee che essi contengono.
      Ne' primi tempi, gli uomini ancora selvaggi ed indolenti, quali son sempre i selvaggi, non osservarono altro che i grandissimi fenomeni della natura. Il primo sentimento, che li mosse ad osservare, fu il timore. Ricercarono la cagione di ciò che temevano, e credettero ritrovarla nella idea sublimemente tenebrosa di un ente indefinitamente forte, che lo stesso timore avea fatto immaginare. Il timore fece nascere la religione, e tutte le scienze in origine non furono che religione. Si cercava la cagione del fulmine? Era negl'iddii, perché la loro idea era la prima che gli uomini avessero immaginata. Si ricercava la ragione di un dovere? Dovea ritrovarsi negl'iddii, perché non aveano ancora immaginata un'altra idea. Gli uomini non conoscevano ancora altra cagione universale, la quale potesse esser nesso di tutte le cose. Quindi, per i primi popoli, i sapienti non eran altri che gli stessi sacerdoti: la scienza della natura non era che la scienza degli augúri, cioè della volontá degl'iddii; la scienza dell'uomo non era che la scienza de' sacrifici e delle espiazioni, cioè de' modi di propiziarsi la volontá di quegl'iddii che il popolo temeva(65).


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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