- Per Ercole! - esclamai io. - Tu, o saggio Clinia, avresti dato ragione a quel pazzo di Diodoro, il quale andava predicando per le strade di Atene che non vi era moto. Il nostro Diogene gli rispondeva argomentando col suo bastone.
- E faceva gran senno Diogene - mi rispose egli. - Seguendo i princípi di Parmenide, Diodoro non avrebbe potuto negare il moto, per la stessa ragione per cui non avrebbe potuto affermarlo. Una sensazione di moto vi è: chi può negarlo? Ma questo moto è altro che una mia sensazione? è qualche cosa di piú, di meno, di diverso? Chi può saperlo, se noi non abbiamo altro che la sensazione?
La dialettica de' filosofi italiani, invece di moltiplicar le dispute, tende ad estinguerle, risecando tutte le oziose. Il primo suo fine è quello di segnare i confini di ciò che si può sapere; e questi saranno esattamente segnati, tosto che sapremo conoscer ciò che è, e distinguerlo da ciò che appare; perché appunto dal confonderli ne viene che tante volte o tentiamo o crediamo di saper ciò che di saper ci è negato.
La nostra dialettica incomincia dal separare le cose che sono distinte. Non confondete ciò che è dentro di voi con ciò che è fuori: ecco il primo suo precetto. Della vera natura degli esseri non potrete mai saper nulla: ecco il secondo. Melisso di Elea trasportò la dottrina di Parmenide dalla ragione alla natura, e sostenne tutte le cose esser materialmente una. Alcmeone di Crotone disse che eran due(75). - Voi errate - diceva il maggior numero de' nostri, - perché trasportate fuori di voi la veritá che è nel vostro intelletto.
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