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      - Se voi aveste voluto divenir pittagorici un secolo fa - riprese Archita la sera seguente, - io non vi avrei fatto quel ragionamento, che vi feci ieri sera, se non dopo molti anni di silenzio e di prove. Prima di saper ciò che Pittagora volesse fare, sarebbe stato necessario mostrarvi capaci di farlo voi stessi. Oggi non si tratta piú d'imitare Pittagora: si tratta di giudicarlo. E, per giudicarlo, è necessario saper, prima di ogni altra cosa, ciò che voleva fare.
      Dopo questa dichiarazione, io ripiglio il mio discorso. Siam sobri nel giudicar gli uomini grandi. Spesso ciò, che nelle loro operazioni troviamo di piú triviale o di piú puerile, è quello appunto che piú efficacemente conduce ai loro disegni. Si narra di Pittagora che, volendo ispirare agli abitanti di non so quale cittá(88) l'amore per gli studi geometrici, li trovò tutti restii ad occuparsi d'idee nuove, astruse e che il maggior numero riputava anche inutili. Pittagora promise loro una mercede, e l'andava di tempo in tempo accrescendo in ragion del profitto che i giovani facevan negli studi nuovi. Si rise molto, sulle prime, di un filosofo, il quale, volendo aprir una scuola per vivere, incominciava dal pagar egli stesso i suoi discepoli. Il riso, come per l'ordinario suole avvenire, rimase ai derisori. L'aviditá del guadagno fece nascere nei discepoli l'amar della scienza; e, quando questo amore divenne un bisogno, pagarono essi il centuplo a Pittagora perché continuasse le sue lezioni.
      Io non so se questo racconto sia un fatto o un'allegoria; ma esso, al certo, contiene la storia della setta pittagorica, che spesso ha lusingati i pregiudizi del popolo per ispirargli l'amore del vero.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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