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      - Eppure, o saggio Archita - diss'io - ho udito dir da molti che un popolo, il quale conoscesse le vere cagioni delle cose, sarebbe il piú saggio ed il piú virtuoso de' popoli. Riunite, dicon essi, in una sola famiglia Socrate, Anassagora, Platone, Timeo, Clinia, Archita: qual famiglia potrá dirsi eguale a questa in saviezza ed in virtú? Riunite i saggi di tutta la terra, e formatene tante famiglie; riunite queste famiglie, e formatene una cittá: qual cittá potrá dirsi eguale a questa(91)?
      - Nessuna - ripose Archita - Essa non meriterebbe neanche il nome di cittá, perché le mancherebbe quello che solo cangia una unione di uomini in unione di cittadini: la vicendevole dipendenza tra di loro per tutto ciò che rende agiata e sicura la vita e la perfetta indipendenza dagli stranieri(92). Tutti noialtri, il secondo giorno, morremmo di fame: tutti sapremmo fare la stessa cosa, e nessuno saprebbe quello che un altro non sa. Se vi si trovasse il nostro Ippia di Elea, per lui il male sarebbe minore. Questo nostro amico era, nel tempo istesso, matematico, agricoltore, muratore, calzolaio: tutto ciò, che egli abitava, vestiva, mangiava, era edificato, tessuto, seminato, raccolto, macinato da lui stesso(93). Per Ippia, dunque, passi; ma per noi sarebbe un male. La nostra unione sarebbe un'ottima accademia ed una pessima cittá. I nostri figli sarebbero costretti a cangiar vita; ed, abbandonati gli studi delle scienze e delle arti liberali, dovrebbero, per poter vivere, darsi tutti alle arti meccaniche, ed allora non vi sarebbero piú né PlatoniSocrati.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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