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      Nelle forme degl'iddii la bellezza è eterna, perché eterna è la virtú. Le nostre passioni sono figlie dell'intemperanza de' nostri desidèri e della debolezza delle forze nostre. Gl'iddii hanno vita, ma non hanno passioni(132).
      Tali eran le menti nostre, quando, libere dai legami del corpo, dimoravano insieme cogli iddii immortali sui limiti del mondo sensibile, e contemplavano la veritá, la virtú e la bellezza nell'essere che solo esiste per sé e che non può esser compreso se non dall'intelligenza la piú pura. Quelle, tra loro, le quali non possono o non vogliono seguire gli iddii immortali, perdono a poco a poco la loro natural leggerezza, si appesantiscono, cadono nelle sfere inferiori, e, passando da sfera in sfera, non si arrestano, finché non giungano in questa terra, ove la dea della necessitá le costringe ad entrare ne' corpi degli esseri viventi.
      Quivi esse incominciano a servire quel corpo che loro è stato assegnato. La celeste forza della loro natura si illanguidisce, quasi si estingue. Quando l'uomo nasce, non ha che i semi dell'intelligenza; ma l'intelligenza non vi è piú, ed appena dopo qualche anno risorge e vegeta, ma languidissima, lentissimamente, quasi pianta trasportata in terreno non proprio, e che non può vincere la folla delle piante maligne, che le crescono intorno, l'opprimono, la stringono e quasi la soffogano. E tu vedi allora nel pensiero e ne' moti dell'uomo gli effetti delle due nature diverse onde egli è composto. Nel pensiero, quella ragione pura e celestiale, che rammenta l'antica origine della mente, e quegli affetti bassi e vili, che mostrano la sua nuova servitú. Ne' moti, talora quelle eleganti proporzioni, che ti rammentano l'ordine eterno per cui la materia è destinata a servire alla mente come un cocchio al suo auriga; talora, al contrario, il disordine, la confusione, i cavalli adombrati, restii, indocili, furenti, le redini abbandonate, l'auriga o mal fermo sul cocchio, o sbattuto per terra, disteso sulla polvere e pesto dalle ferrate unghie dei suoi cavalli e dalle rote dello stesso suo cocchio.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772