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- Il buon Socrate trasportava tra gli ateniesi le veritá della nostra filosofia, e le vestiva di quelle forme che le rendessero piú credibili ai nuovi uditori. Egli diceva che le nostre anime, prima d'informare i corpi, abitavano cogl'iddii immortali, perché, in veritá, esse son tanti iddii: sotto il nome d'"iddii immortali" altro noi non intendiamo che le menti, le quali sono la vita e l'essenza di tutte le cose(133). Diceva che esse abitavano il confine del mondo sensibile e dell'intellettuale; perché al mondo sensibile appartiene tutto ciň che č fatto, ed appartiene al mondo intellettuale tutto ciň che non puň comprendersi se non colla ragione. Diceva che la natura delle anime era tutta nell'intelligenza del vero, e che questa, che noi chiamiamo "vita", non era giá lo stato naturale delle medesime, ma sí bene una penosa schiavitú, a cui erano condannate dall'ordine delle cose, che egli chiamava "dea della necessitá". -
Cosí mi rispose Clinia, a cui, parlando di ciň che Archita avea scritto sul bello, io avea detto simili dottrine averle giá esposte anche Socrate in Atene. Indi proseguí il suo ragionamento.
- Ha scritto un libro sulla natura dell'anima anche il nostro Filolao. Alcuni lo trovano astruso e quasi inintelligibile, come quello che lor sembra ripieno di soverchia matematica(134). Ma nessuno ha dimostrato con maggiore evidenza la natura immortale di quella parte di noi che č destinata a conoscere il vero. Socrate, in faccia ai suoi giudici, tra i suoi discepoli, sul punto di bever la cicuta, non altri che Filolao solea addurre in testimonio di questa sublime e consolatrice dottrina(135).
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