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      Converrete con me - diceva Clinia - che Pittagora ha reso il piú gran bene che si possa rendere all'umanitá, insegnando il dogma della immortalitá dell'anima, senza di cui non vi è né religione né morale.
      - Ma tu - diss'io - non potrai negare però che egli lo abbia rivestito di stranezze. Ricordarsi di essere stato Etalida figlio di Mercurio, poi Euforbo ferito da Menelao, poi Ermotimo, poi Pirro pescatore di Delo, finalmente Pittagora! Questo non si chiama dimostrare, ma deridere l'immortalitá dell'anima(136).
      - Ecco la solita censura! - riprese Clinia. - Pittagora dovea parlare ai saggi ed al volgo: parlò difatti alla ragione dei primi ed alla fantasia del secondo. Ma, parlando al volgo, ebbe l'avvertenza di dire che quella sua memoria era un dono del primo suo padre Mercurio. Cosí, quando il popolo gli domandava: - E noi perché non ci ricordiamo? - egli, senza cader in contraddizione con se stesso, rispondeva: - Perché non siete figli di numi. - Quando questo stesso rimprovero glielo facevano i saggi, egli rispondeva: - Ma non vedete voi che io incomincio dal dirmi figlio di Mercurio? Vi pare che io possa crederlo? Ma questa razza di gente vuole il mirabile; e la favola è necessaria per far credere il vero. -
      Chi vuol dire solamente veritá, sará lapidato inutilmente. A produrre una riforma, è necessario avere un fondo di veritá, ma rivestirlo delle apparenze degli errori, e questi errori debbono essere i popolari, onde il popolo li creda, e non tuoi, onde in faccia ai savi tu possa sempre conservar la fama di savio.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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