Quale sará mai, dunque, il fine vero a cui deve tendere ogni fondatore di cittá? Quello di nudrir gli uomini con una legge comune(143). Ma tu non puoi dir legge comune, senza intendervi eguaglianza e giustizia.
Poniamo, dunque, se cosí ti pare, o Cleobolo, la giustizia esser fine di ogni ben ordinata cittá e base di tutte le leggi. La sola giustizia può darne la concordia e l'amicizia tra i cittadini e quella forza, che solo si può sperare dalla concordia; la sola giustizia può darci coi vicini la sicurezza e la pace. Senza giustizia non vi è unione, perché non sono uniti a noi né sono nostri amici coloro che ci servono, ma sono nostri implacabili nemici, e tanto piú da temersi quanto piú sono oppressi; perché allora nascondono i disegni di vendetta, ed aspettano a nuocere quelle occasioni che ci rendano o piú deboli o piú negligenti, e che la stessa intemperanza del comandare rende piú frequenti. Or credi tu che possa esservi giustizia nelle leggi di quella cittá, in cui è permesso ad una parte de' cittadini di viver nell'ozio e ne' diletti a spese dell'altra?... A spese dell'altra... sí; poiché, qualunque sieno i freni che ti piaccia imporre agli smoderati desidèri altrui, è inevitabile che o le leggi vincano i pravi costumi, o che questi rompan quelle, o che una parte della cittá miseramente perisca. Il fine delle leggi non è dunque quello solamente di prescrivere ciò che gli uomini debban fare, ma anche quello di avvezzarli ad oprare a seconda de' precetti. Quando tu avrai incise le leggi della tua cittá sulle tavole di bronzo, nulla potrai dir di aver fatto, se non avrai anche scolpita la virtú ne' cuori de' suoi cittadini.
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Cleobolo
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