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      - E quando Temistocle si presentò all'assemblea per proporre un progetto che egli diceva utile alla patria, ma che non potea rivelare in pubblico; e tutta l'assemblea si contentò che lo confidasse al solo Aristide, e poi vi rinunciò subito che Aristide disse il progetto poter ben apparir utile, ma non esser però giusto?
      - Crediamo lo stesso.
      - Non è meraviglia: giovani dotati di tanto buon senso, quanto voi ne avete, non ne potrebbero disconvenire. Era dunque allora la virtú in Atene come una bella donna nota a tutti; cosicché chiunque la vedeva poteva riconoscerla e dire: - È quella, - e chiunque si proponeva di seguirla sapeva ove dovea cercarla. Al certo che, se le vostre opinioni fossero state allora diverse tra esse a segno che non si fosse potuto saper che mai intendessero gli ateniesi per virtú, Aristide non avrebbe ottenuto il piú dolce premio che gli iddii possan dare ai mortali per le loro fatiche. La sua fama sarebbe dubbia: lodato da alcuni, potrebbe esser condannato da molti; si potrebbe disputare sul conto della sua persona, e chi sa anche che non sarebbe caduto il suo nome nell'ultimo grado di avvilimento, nell'obblio? Nell'obblio si cade sempre, quando la diversitá di pareri è tale e tanto è il numero delle sètte, che nessuna di esse può, quasi il direi, far la guerra all'altra, e tutte finiscono col tacere. Male gravissimo per una cittá, perché, togliendo la concordia nelle opinioni, toglie agli uomini il piú vivo incitamento che possano avere per la virtú, cioè la costante approvazione di tutti i concittadini.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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