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      Forse un giorno valeranno a ritrarre qualche misero dal sentiero del vizio e della viltá; ed ecco ciò che possa veder di piú grato chi ormai piú non vive che nella contemplazione dell'ordine eterno di tutte le cose. L'istruzione di coloro che debbono ancor nascere deve essere il primo oggetto di chi loda coloro che piú non sono. I tempi, ai quali la necessitá ci ha riserbati, sono difficili. L'etá passata ha corrotto il nostro cuore; questa, in cui viviamo, minaccia di corrompere nei nostri figli anche la mente. Noi abbiam perduto l'amore della virtú; essi corron pericolo di non averne neanche la norma. Di giá serpe nelle tenere menti dei giovani, simile alla rubigine del Ionio, tanto fatale alle nostre piante, una nuova dottrina corrompitrice di ogni nobiltá di animo; e l'uomo del volgo incomincia giá a separar la virtú dalla felicitá, e, rammentando le misere sorti di Zenone, di Filolao, di Socrate, domanda a se stesso: - Qual è dunque il premio della virtú? -
      Quale è il premio della virtú!... Giovani che qui siete, a voi indirizzo il mio discorso: per noi vecchi, guai se finora non l'abbiamo ancora compreso! Volete voi saperlo qual sia questo premio? Non vi aspettate che io vi proponga comandi militari, magistrature sublimi, favore dei suoi concittadini, lunga e tranquilla vecchiezza; beni tutti che si debbono alla virtú, che la virtú talora ottiene, ma che dipendono dalla cieca fortuna. Non può appartenere alla virtú ciò che non è eterno com'essa. L'errore piú funesto, in cui gli uomini possan cadere, è quello di credere che la virtú non abbia altro che questi miserabili premi a sperare; e, quando avvien che per l'infelicitá de' tempi essi vengano a mancarle, gli uomini si perdon di animo ed abbandonano una virtú che vedono perseguitata dalle sventure.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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