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      Veggo qui molti bruzi; ma non per la loro presenza io mi arresterò dal dire ciò che credo vero; e lo dirò tanto piú volentieri, quanto che l'esperienza di molti anni li ha dovuto convincere che né per rivoluzioni né per guerre civili si migliora la sorte delle cittá e de' cittadini. La guerra giá ardeva in Italia per la stoltezza de' locresi. Voi, bruzi, incominciaste a delirare per ordini nuovi, obbliando che i migliori son sempre quelli ai quali i cittadini sono piú ubbidienti. Vi fu facile infranger gli antichi: tutti foste concordi, quando si trattò solo di distruggere, di separarvi dai lucani. Ma, appena si tentò di riedificare, sursero quelle passioni private, che fino a quel punto avean taciuto; ciascuno non udí piú che il suo interesse; e quelli stessi, che non ne aveano alcuno, si mossero, allettati dalle promesse insensate, che loro facevano gli ambiziosi. Allora chiunque non curò piú la sua vita, divenne padrone della vita altrui; chiunque avea meno da perdere, ebbe piú da sperare; chi avea minor cura di bene, ebbe piú impudenza a far il male. Quella feccia del popolo, che non avea né beni né ragioni né virtú, divenne l'arbitra di tutte le cose, l'idolo di tutt'i potenti. Chi le promise una general divisione di tutte le terre, chi una eguaglianza di diritti stolta. Promettevano tutti le spoglie di coloro che gemevano sui mali della patria, che era l'unico dono che il popolo intendeva, l'unico che bramava, e per cui, tra tanti promettitori, l'ultimo ed il piú insensato era sempre il piú gradito.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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