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      Quella vita, che abbiamo, non è giá un dono di cui ci sia permesso far quell'uso che vogliamo. Prima di esser cittadino di Crotone o di Eraclea, io era nato cittadino dell'universo. Prima che gli eracleesi mi avessero eletto loro eforo, gl'iddii giá mi avean assegnato un altro posto nella loro cittá, e, dandomi la vita, mi avean detto: - Ecco il tuo posto, Filolao. Rimantici come un ben disciplinato soldato, finché il tuo superiore ti richiami. -
      Che dirò io a questo mio superiore, quando, avendo abbandonato senza suo ordine il posto, mi troverò al suo cospetto? Mi par giá di udirlo dimandarmi: - Perché non sei rimasto ancora, o Filolao?
      - Ho temuta la morte.
      - Non ti ci avea io stesso destinato? Essa veniva senza l'opera tua: era essa il segno del richiamo che io ti dava.
      - Ho temuto i mali della vita.
      - Se essi erano insoffribili, producevan la morte; se non la producevano, erano soffribili.
      - Ho temuto la infamia.
      - Tu anzi ci sei incorso, perché è questa l'unica volta in cui hai ceduto al volgo. -
      Credetemi, miei amici, non sarebbe tanto facile rispondere a quel giudice quanto lo è rispondere agli eracleesi. Che altro gli potrei dire io che opinioni? Imperciocché opinioni sono tutti i mali e tutti i beni, i quali mi potrebbero muovere a trasgredire i suoi decreti. Tutto ciò che avviene mentre sediamo qui ragionando e che tanto sconvolge le vostre menti, ditelo voi stessi: non è tutto fuori di me? Fuori di me sono e quella morte che mi si minaccia e quei tormenti i quali altro non posson fare che darmi la morte: io non sento nulla.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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