Il suo ingegno serve al costume pubblico. Quanto pochi son quelli che saprebbero dominarlo! E questi stessi non sono liberi dalle condizioni che loro impongono i conduttori di coro(215), i quali vogliono gran concorso di spettatori, vogliono empir le loro borse di denaro, e si curan poco che la favola sia o non sia secondo le norme dei sapienti(216). Il solo Platone non basterebbe per certo a costoro invece del popolo intero(217).
Vuoi tu dunque conoscere qual debba esser la favola in una cittá? Vedi qual è quella parte di popolo che va al teatro. Paragona l'Italia e la Grecia, e troverai nella differenza de' costumi e degli ordini de' due popoli la ragione della differenza delle loro favole. Nell'oclocratica Atene la piú vile plebe siede non solo spettatrice, ma arbitra di tutti gli spettacoli teatrali; e perciò tu vedi ivi le favole essere stolte, tumultuose, senza disegno, senza verosimiglianza, senza moderazione, simili ai comizi del popolo, che le ascolta. L'ingegno di Aristofane le ha rese quanto piú si potean belle; ma, a traverso delle grazie, onde la di lui arte l'ha adornate, tu riconosci i difetti della natura. Chi paragona le favole di Aristofane a quelle che abbiamo in Italia, indovina che in Atene il popolaccio è piú colto, ma che in Italia vi è piú numerosa una classe di persone superiore al popolo, e che questa dá nei teatri la legge. In Italia questa classe di uomini migliori è rimasta superiore alla plebe. Noi abbiam due teatri, perché abbiamo due costumi e quasi due popoli diversi: abbiamo per la plebe la commedia atellana, la quale è rimasta inferiore alle vostre favole di Eupoli e di Cratino, perché è rimasta per uso della sola plebe; ed abbiamo la commedia di Epicarmo, superiore a quelle favole vostre, perché destinata ad uomini savi.
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