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      Direi ancora ai poeti che, a conseguir tanto fine, a voler essere veramente utili, da che solo possono sperare di diventar veramente grandi, debbono esser maestri di virtú; e, per poter questa esattamente imitare ne' loro carmi ed insegnarla agli altri, debbon prima averla nel loro cuore e nelle loro azioni.
      Ma ciò non amo dirlo io stesso. Socrate credeva non esser prudente aver per nemici i poeti, perché hanno grandissima virtú tanto nel lodare quanto nel biasimare(226). E poi son tanto facili ad irritarsi, se un amico ardisce emendare un solo de' loro versi! Tale è l'eterna natura di coloro, i quali non hanno sempre presente quel vero, che solo può tener a freno la falsa fiducia di noi stessi, ma oprano per l'ordinario senza saper ciò che fanno(227). Io farò dunque che parli un altro poeta. Voi sapete che a torto son riputato esser nemico di tutti costoro. Ve ne sono molti che io amo, che io leggo; e tra questi non l'ultimo luogo tiene Sofrone, i di cui mimi io porto sempre meco(228). Sia dunque un poeta che dia consigli ai suoi fratelli.-
      Cosí dicendo, trasse dalla tasca il libro e lesse:
      /* "Un antico proverbio dice che non si fanno carmi senza vino(229); ed io, o mio figlio Senarco, ti dico che non si fanno bei carmi senza mente e senza cuore. Quello spirito, che anima i poeti e che vien dal cielo, è simile alla rugiada del mattino; che brilla al pari delle perle, se cade sulla collina smaltata di erbette odorose e di fiori; ma, cadendo nella valle limacciosa, si unisce alla polvere e diventa vilissimo fango.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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