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      Le loro mani erano ancora lorde del sangue dei crotoniati.
      Essi ebbero la sfacciataggine di presentarsi a Pittagora, che li ricevette con quel freddo silenzio, con cui la virtú fa arrossire il vizio audace. I sibariti insolenti incominciarono con sarcasmi vili ad insultarlo.
      - Noi siam venuti qui - uno gli dice - non per altro che per consultarti.
      - Non vi sono oracoli per gli omicidi - risponde Pittagora.
      - Oh! l'uomo divino che usa il linguaggio di Apollo! - ripiglia un altro. - Dimmi, ti prego: tu, che sei sicuro di rinascere, mi faresti un favore? Io ti darò una lettera per mio padre, giá morto; gliela recherai; e, quando rinascerai, mi darai la risposta.
      - Io non posso - riprese il savio, - perché dopo morto non anderò nelle case degli empi. -
      Come mai il vizio è sempre sconsigliato! Quegli uomini voleano ottenere un favore dai crotoniati, ed intanto li offendevano, insultando colui che essi, dopo gl'iddii, rispettavano sopra ogni altro.
      Viene il giorno della pubblica assemblea. I sibariti esposero l'oggetto della loro missione. Qualcheduno in suo pensiero giá dubitava, calcolando le forze de' sibariti; e facea vedere non esser prudente esporre una cittá, che avea appena centomila armati, alla guerra con un'altra, che potea metterne in campo trecentomila. I miseri esuli, incerti del loro destino, scorrevano, piangendo, l'assemblea, raccomandandosi ad uno ad uno a tutti i cittadini, baciando loro le mani ed abbracciando i ginocchi, mostrando loro i piccoli figli e le care mogli, e pregandoli a non volerli inviare a certa e durissima morte; quando Pittagora, asceso sulla tribuna, disse:


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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