Ho fatta anch'io la mia parte di tutto questo; e poscia ho voluto osservare minutamente il tempio, che è uno de' piú grandi e de' piú belli d'Italia.
Esso è ornato di grandi colonne di pietra, di quell'ordine che chiamasi "dorico", ma che con piú ragione chiamar si dovrebbe "italico", e che è il piú antico di tutti gli altri ordini(264). Le tegole sono di marmo, e l'ampiezza del tempio è tale, che la metá del suo tetto basterebbe a ricoprire uno dei piú vasti tempii della Grecia(265).
Peccato che in questo bel tempio tu ricerchi invano una bella dea! Non vedi né il sublime Giove, né la Minerva bella(266) del nostro Fidia. Quando sei nel sacrario, ti si mostra una colonna rozza, sconcia, quasi simile a quelle sciagurate colonne di viti, che sostengono quella capanna che in Metaponto chiamasi anch'essa tempio di Giunone(267), e ti si dice: - Ecco la dea de' nostri padri. - "De' nostri padri"! Ecco - dissi, ma zitto e tra me e me, - ecco la ragione per cui una insulsa mole è dea: "era dea de' nostri padri". -
Vi ammiri però le statue di molti illustri crotoniati. Hanno le loro statue in questo tempio quasi tutti gl'illustri atleti d'Italia. Quivi sono le statue di quell'Anoco tarantino, che ne ha un'altra tanto bella in Argo, opra di Aelada argivo; del tarantino Icco, non solo sommo atleta, ma anche gran maestro di dieta atletica; del sibarita Fileta; del suo concittadino Damonte, uno de' concorrenti alle nozze della bella figlia di Clistene, tiranno di Sicione. Non vi è cittá italiana, la quale non vi abbia le statue di uno, due e piú suoi concittadini, perché non vi è cittá che non abbia e ginnasio e palestra, e che non conti molti vincitori ne' giuochi propri ed in quelli della Grecia.
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