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      - Non ce li vedi? - riprese Nicomaco - non ce li vedi? Oh, se tu avessi i miei occhi! Pigliali, e parratti una dea. -
      Il povero cartaginese voltò le spalle e partí. Ma egli piú non era tra noi, era giá alle porte del tempio, e Nicomaco ancora sbuffava, e si volgeva indietro, e lo fulminava cogli occhi, e gridava: - Vilissimo mercante di cacio! -
      Queste parole, l'azione, i gridi di Nicomaco fecero radunare intorno a noi moltissime persone che eran nel tempio; ed ognuno, che veniva, dimandava a Nicomaco la ragione di tanta ira; ed egli, come suole avvenire, narrandola, l'accresceva. La sorte di coloro, che sentono molto entusiasmo, è tale, che o lo comunicano agli altri o destan riso. Tra noi eranvi molti giovani, i quali amavano piú di sollazzarsi che di ammirare il quadro; ed incominciarono a stuzzicar Nicomaco ed a contraddirgli, onde dargli occasione di parlare.
      - Zeusi era certamente un valentissimo pittore - gli disse uno.
      - Perché non dici "divino"? - rispose Nicomaco.
      - Sia "divino", come tu vuoi. Se però diremo Zeusi "divino", qual chiameremo Parrasio, che vinse Zeusi?
      - Qual è la tua patria? - domandò allora Nicomaco. - Tu al certo non sei nostro italiano.
      - Non lo sono; ma non vedo a che giovi il saper la mia patria.
      - Lo saprai. Dimmi qual è la tua patria.
      - Ebbene, te lo dirò dunque. Io sono Nicerato figlio di Nicia di Atene.
      - Tu dunque sei concittadino di Parrasio, il quale, sebben nato in Efeso, pure ottenne la cittadinanza vostra. Io son concittadino di Zeusi. Or sappi che io non ho prestato mai fede a quello che gl'invidi di Parrasio han detto, cioè che egli, per dipinger Prometeo, avesse fatto morir fra i tormenti un servo(275). La nazionale rivalitá non mi ha sedotto, ed ho detto tra me: - Parrasio non avea bisogno di questo mezzo tanto crudele per dipingere Prometeo; né Fidia ebbe mestieri di veder Giove e Minerva: se non avesse potuto scolpirli senza vederli, non li avrebbe scolpiti giammai.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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