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      Avete voi mai veduto, o giovani, il quadro in cui Zeusi ha dipinto Ercole bambino che strangola i serpenti mandati a lui dalla gelosa vendicativa Giunone(290)? Egli ha dipinto il divino bambino in culla e che ha giá vinto. Li serpi son distesi a terra: le teste infrante scoprono gli acuti e velenosi denti, le creste sono divenute appassite e languide, gli occhi appannati, le squame non piú vivaci per porpora e per oro. Alcmena si va a poco a poco riavendo dal primo spavento, ma quasi non ancora crede ai propri occhi. La vedete scapigliata, discinta, quale si era levata allora allora da letto, colle mani ancora alzate al cielo. Le sue donzelle, attonite, susurransi qualche parola all'orecchio. Vedete i tebani concorsi in aiuto di Anfitrione. Questi è col pugnale in mano, accorso per la difesa o per la vendetta, ed attonito perché non vede né chi difendere né di chi vendicarsi. I suoi occhi vi mostrano che egli chiede di uno che gli possa spiegar il senso di tanto prodigio, e s'incontrano con Tiresia, che, pieno ed agitato da furor profetico, vaticina i fati del divino fanciullo(291).
      Tutta questa scena non da altro lume è rischiarata che da quello di una sola torcia. Or debbo io dirvi, o giovani, di quant'arte ha avuto bisogno Zeusi per imitare con pochi colori tutto l'infinito numero degli effetti che un solo lume produceva su tanti oggetti e tante persone?
      NICERATO. No, Nicomaco: noi te ne dispensiamo.
      NICOMACO. Or vedete che quest'arte d'imitare non ha potuto giugnere a tanta perfezione in una sola etá, né per l'opra e l'ingegno di un uomo solo.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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