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      Quella è per un popolo l'etá delle belle arti, perché è l'etá de' grandi modelli. Ciascun uomo si mette nel posto che gli assegna il suo merito. Non si eleva che l'uomo veramente grande. Il popolo (poiché il popolo si forma sempre le sue idee generali da ciò che vede e da ciò che sente), il popolo cerca in esso i modelli delli sublimi pensieri, delle virtú generose, e ve li ritrova. L'artefice non erra né nella scelta né nell'imitazione de' modelli suoi; né teme che l'opera del suo ingegno rimanga senza premio, trascurata da un grande che non sente, o vilipesa dalla rivalitá de' suoi compagni e dal giudizio del popolo, che segue l'opinione de' grandi, e da quello de' grandi, i quali credon protegger l'arte e proteggon l'artista, credon protegger l'artista e non proteggono che il favorito. Che ti vagliono allora le scuole? Esse limitano la natura e l'ingegno; illanguidiscono, estinguono quella libera moltiplice produzione, per cui, tentando sempre, tentando tutto, si ottiene il bello e si giugne al vero. Sotto specie di evitar i difetti, si diminuiscono le bellezze, si moltiplicano le regole; ma queste spesso sono dirette solo ad ottenere l'approvazione dell'uomo che le ha inventate. Si crede perfezionar l'arte e si stabilisce la maniera.
      La bella etá dell'arti suole durare un momento. Ben presto passa nelle cittá l'amore della virtú! Soglion corrompersi e cadere o nelle convulsioni che desta la forza sediziosa della plebe, o nel languore che segue la prepotenza oppressiva de' grandi.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772