- Io non ho che rimproverarmi - egli diceva: - né ambizione, né avarizia, né vendetta mi mossero ad unirmi con coloro i quali proposero i primi di separar gl'interessi nostri da quelli de' lucani. Io non volea altro che il bene della mia patria. Si diceva che gl'interessi nostri eran trascurati o traditi in Petilia(305) e che sarebbero stati meglio trattati in Cosenzia; che allora tutte le nostre cose sarebbero state fatte da noi stessi, e meglio. A poco a poco ogni villaggio nostro disse per Cosenzia quello che tutti noi avevam detto per Petilia: - Perché riceverem noi le leggi da un altro paese? - E ciò, che avean detto i villaggi, ripeterono le famiglie, ciascuna dicendo all'altra: - Perché non sarem noi interamente liberi? - Che ne avvenne? Passammo da licenza in licenza. Tutto arse di sedizione, di delitti, di distruzione. Fu incendiata la mia casa, furon devastati i miei campi, ho perduta una moglie che adorava, e non mi rimane che una vita e questa figlia, che me la rende e piú cara e piú miserabile.
Cercherei invano nella mia patria un soccorso. Le sedizioni chiudono colla miseria tutte le vie del lavoro e colla corruzione tutte quelle della pietá. A chi mi rivolgerei io? Il maggior numero de' miei concittadini è piú misero di me. Alcuni pochi, che non son tali, mi compassionano e mi dicono: - Ma che vuoi tu mai? La rivoluzione è finita. Hai tu guadagnato qualche cosa? tanto meglio per te. Hai tu perduto tutto? tanto peggio. Ma la rivoluzione è finita. -
Essi dicono il vero: la rivoluzione è finita.
| |
Petilia Cosenzia Cosenzia Petilia
|