A questo punto eran giunte le due scuole italiana e greca, quando, nell'etá del nostro maestro, si riunirono, simili a due fiumi che, prima di entrar nel mare, confondono ed il letto e le acque. I sofisti siciliani ci recarono la filosofia dell'Italia, ma informe, corrotta, come ottimo liquore tenuto in vaso giá contaminato, e se ne valsero per opporla a quella di Grecia. Arse lite vastissima, nella quale le parti di chi contradicea non erano né le piú difficili né le meno gloriose. I greci risposero agl'italiani. Sursero degli altri, i quali difesero a vicenda le opinioni or di quelli or di questi. Si ambí la gloria di dialettico acuto, e si perdette ogni criterio di vero.
Socrate, simile a Giove che pesa i destini di Ettore e di Achille, sostenne la bilancia tra i due partiti. Dimostrò che i sensi e l'intelletto appartenevano del pari ad un me, ad un solo me; ad un tutto, insomma, le di cui parti era impossibile che non fossero in armonia. Vinse gli errori de' sensi, mostrandoli contrari alla ragione; fece tacere le audaci decisioni, non della ragione, ma de' ragionatori, mostrandone la contradizione coi sensi. Tutta la dialettica dell'uomo grande poteva ridursi a questo precetto solo: - Non conoscete voi un punto in cui l'intelletto, la fantasia, i sensi siano di accordo tra loro? In quel punto fermatevi: ivi solamente sta il vero(364). -
Ma quanto tempo credi tu che stará questa concordia? Quanti giorni sono (ché "giorni" io li chiamo e non "anni"), quanti giorni sono da che Socrate ci ha lasciati a noi stessi?
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