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      Or vedi nequizia di uomo che si fa beffe degli uomini e degli iddii! Dionisio, che sapeva questo antico voto de' nostri avi, nella guerra che negli ultimi anni abbiam sostenuta coi lucani (guerra infelice e nella quale siamo stati disfatti, perché né Dionisio ha permesso che noi facessimo uso delle nostre forze, ch'egli temeva piú di quelle de' lucani, né ha saputo ben usar le sue), rinnovò l'antico voto e comandò che tutt'i locresi avessero condotte nel tempio di Venere le loro mogli e le figliuole loro ornate delle piú ricche vesti e delle gioie piú preziose; ed ivi...(398). -
      Io cesso, o virtuoso Critone. Funesta fragilitá della razza umana! Oh! come facilmente si dileguano le piú lusinghiere speranze della giovinezza! Io conobbi Dionisio ancor giovinetto: era ingenuo, umano, amico della sapienza e delle arti: solamente lo avresti detto un poco molle. I perfidi consiglieri, l'amor delle donne e del vino ne han fatto un insoffribile tiranno. Tanto è vero che i vizi non vanno mai scompagnati e che il piú leggiero, il piú scusabile non si fomenta mai senza pericolo! Tanto è vero che la passione medesima diventa piú o meno scellerata in proporzione della grandezza de' doveri che sono a noi commessi; e quella stessa mollezza, la quale fa di un privato un negligente padre di famiglia, rende l'uomo pubblico un negligente magistrato, cangia il re in negligente governatore di popoli! La cagione de' delitti è la stessa; ma qual paragone tra un negligente privato, un negligente magistrato, un negligente re?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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