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      Noi finora abbiam usata la musica di Licurgo e di Tirteo, e questa musica ha spinti i nostri cittadini alle battaglie; questa musica ha temperato tante volte il loro furore militare; questa ha calmate tante dissensioni civili. Il braccio, il piede, il cuore del nostro cittadino ubbidisce a questa musica; questa musica ricorda al suo pensiero le vittorie sui messeni, Termopile, Platea; i fanciulli ripetono con questa musica le leggi di Licurgo; e, quando il giovine marcia alla guerra, pare che il suono di quel flauto, che misura i suoi passi, gli dica: - Va', prode; questo istesso suono guidava tuo padre nella battaglia di Egopotamo, quando i nostri distrussero da capo a fondo la potenza dell'antica nostra rivale. - Ora coloro, che sono stati vinti in Egopotamo, pretendono insegnarci una musica nuova; e quali iddii, quali nomi, quali vittorie han per loro questi nuovi modi, che ne garantiscano l'effetto? Noi abbiamo una musica, ed abbiamo un costume. Vogliam noi forse prendere il costume de' vinti? Or la musica non solo esprime i sentimenti nostri, dai quali i nostri costumi dipendono, ma li conserva anche e li cangia secondo ch'essa medesima o si conserva o si cangia. Talora la ragione, corrotta dagli esempi altrui, presenta ai sensi nuovi piaceri, nuovi bisogni, e perciň corruzione, miserie e delitti nuovi; ma spesso avviene ancora che i sensi, avvezzi a nuovi diletti, forzano la ragione a concederli, e, a misura che si moltiplicano le condiscendenze della ragione, cresce l'imperiositá de' sensi.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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