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      E qui mi pare che conoscan l'agricoltura meglio di noi. Mi hanno giá fatto osservare che molte parti della medesima da noi sono intese male, specialmente quella che riguarda la concimazione de' campi(461), opera principale tra tutte le altre opere agrarie, e per cui solamente puň l'uomo restituire alla terra quella fertilitá che tutte le altre opere sue tendono a consumare.
      Ben veggo che Cerere č sempre la dea dell'Italia e della Sicilia e che tra noi non fu che ospite! Ben l'Italia č sempre la terra del pane e del vino!(462). Ma gl'italiani non profanano le sante opere della dea, commettendole a mani servili; e la terra č qui lieta e superba per esser smossa bene spesso da un vomere trionfale.
      Noi greci abbiam torto. Gli spartani, i tessali, i cretensi arrossirebbero di coltivar la terra, e ne lascian la cura agl'iloti, ai penesti, ai perieci(463). Pure ciň si perdoni a costoro, i quali almeno si dicon atti a molte altre cose. Si č detto dei medesimi che, se rovinan nella pace, sanno risorgere nella guerra(464). Ma un beoto, per Giove! a che altro č mai buono un beoto? Ed intanto un grasso beoto si crederebbe avvilito, se mai i frutti che mangia fossero stati coltivati da lui medesimo. E noi ateniesi che facciamo? Noi ce ne stiamo tutto il giorno nel fňro e nel Pireo, e lasciamo la cura delle nostre terre agli schiavi. Siamo piú ciarlieri de' beoti, ma non meno inutili.
      Io incomincio a vedere che l'agricoltura non sará mai perfetta in un popolo se non quando gli stessi proprietári delle terre saranno agricoltori.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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