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      Narrasi che il duce de' Galli, quando essi apparvero, disse loro: - Noi udiamo ora per la prima volta il nome de' romani; pure li crediamo uomini forti, tra perché que' di Chiusi hanno reputato utile implorare il loro aiuto, tra perché essi stessi han voluto, prima di tentar l'armi, difendere i loro amici colle legazioni. Noi, dunque, non ricusiamo e pace ed amicizia coi romani e coi chiusini, purché questi ci cedano parte di quel territorio del quale essi abbondano e noi scarseggiamo. Se i chiusini ricusano tale condizione, noi siam pronti a batterci coi medesimi in giusta guerra; ed i romani saranno testimoni della giustizia della nostra causa e del nostro valore. - Ma qual diritto hanno mai i Galli nell'Etruria? - domandarono i nostri. - Il diritto degli uomini forti, quello delle armi. - Tale risposta era per certo altiera. Ma erano spediti forse i nostri legati dal senato e rivestiti del santo carattere feciale per contendere coi Galli di orgoglio? Pure essi, senza consultare il senato, senza dichiarar la guerra, ritornano in Chiusi, si mettono alla testa de' chiusini, e da ambasciatori diventan nemici. I chiusini sono disfatti, i legati fuggono in Roma. Ecco i legati de' Galli che vengono a chieder soddisfazione pel diritto delle genti violato. Ma il partito de' giovani prevalse, perché prevaleva allora il partito della plebe, presso la quale l'audacia tien sempre luogo di coraggio e la prudenza spesso si confonde colla viltá. Può ben la plebe aver talora alcune virtú, ma non ha mai quello ch'è piú necessario: il modo nelle virtú. Invece di render giustizia ai Galli, si decretò la guerra, e fu preparata con una precipitazione eguale a quella colla quale erasi risoluta.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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