All'annunzio del pericolo di Roma, egli, che vivea ritirato in Ardea, obblia le antiche ingiurie; tutti gli abitatori delle nostre colonie, tutt'i nostri alleati, tutt'i romani che trovavansi fuori della patria, si riuniscono, si armano, lo nominan dittatore e lo invocan condottiero alla nobile impresa. Camillo applaude al loro coraggio, ma ricusa il comando offertogli, se prima non era sancito dal senato ed approvato dai solenni augúri. Tanto era il rispetto che quest'uomo grande avea per le leggi e per la religione, che credeva mal salvarsi la patria conculcando le medesime! Il senato, a cui per opra di un disertore, se ne fece pervenir nuova, approvò l'elezione, e Camillo giunse nell'istante appunto in cui Brenno pesava sull'iniqua bilancia a peso di oro i destini del primo popolo della terra. Egli avea aggiunto a' pesi, giá non giusti, la greve sua spada; ed ai nostri, che dolevansi di tanta soperchieria, altra risposta non avea dato se non: - Guai ai vinti! - Ma Brenno fu disfatto, e gl'iddii mostrarono che essi avean voluto provare, e non giá perdere Roma.
Io mi ricordo ancora che, un anno dopo questo avvenimento, alcuni tribuni faziosi proponevano al popolo di abbandonar Roma e passare ad abitar Veia. - Qual giustizia permette mai - dicevan essi - che quei miseri cittadini, i quali hanno appena salvata la vita dal flagello della guerra, sien oggi costretti ad edificar nuove case in un luogo arso, devastato, distrutto, mentre in Veia, terreno fertilissimo, comode case, conquistate da noi medesimi, non aspettano che nuovi abitatori?
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