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      E giá la plebaglia, mossa sempre dai presenti, benché piccoli, vantaggi, inclinava al parer dei tribuni, e giá fremeva, e Veia udiasi ripetere da mille bocche, quando Camillo, asceso sulla tribuna: - E andate pure - disse: - chi vi ritiene? Andate pur tutti a Veia: io però, io, anche solo, mi rimarrò qui. In Roma son nato, per Roma ho vinto e non per Veia, per Roma ed in Roma morirò. Han forse promesso a Veia gl'iddii immortali l'impero della terra? Son forsi di Roma o di Veia i numi tutelari, e gli augúri, e le cerimonie sante, ed i tempii, ed i sacrifici? Voi andrete, ma gl'iddii resteranno qui, e con essi la religione, gli augúri e l'imperio; andrete, ma le ossa de' padri vostri non verranno con voi; andrete, ma, quando sarete divenuti veienti, scordatevi de' padri vostri, di Giove, di Vesta, di Marte, di Giunone, delle vittorie e dell'impero di Roma: essi non saranno piú vostri. Quando anche tutti l'obbliassero, io, che ho vinta e presa Veia, che ho quasi stipulato con Giunone regina di cangiare sede e preferire i tempii romani agli etrusci, io solo ve lo rammenterò. - I faziosi tacquero, e Camillo fu per la seconda volta il padre della patria. -
      Il romano partí. - Eccoti i romani - disse allora Ponzio: - tutti pensano allo stesso modo. Quando ne hai conosciuto uno li conosci tutti.
      - Ma non parmi poi - risposi io - che sien molto ragionevoli: li trovo tutti pieni di pregiudizi, di visioni; mi sembran piú che superstiziosi. -
      - O giovine - mi rispose Ponzio, - un pregiudizio forma un matto, e dieci posson formare un eroe.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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