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      Un larte sannita vuole aver la sera intorno a sé i suoi amici. Si mangia per l'ordinario nel peristilio della casa(530), in quell'istesso luogo nel quale il larte ha passata la mattina ad udire i suoi amici, i dipendenti della sua famiglia. Imperciocché tu devi sapere che ciascun larte sannita, ciascun patrizio romano, un ottimate italiano insomma, si reca a pregio l'aver molti dipendenti, che i romani chiaman "clienti"; e vi è un sacro vicendevole patto, il quale obbliga l'ottimate a soccorrere, sia coll'autoritá, sia colla forza, sia coi consigli, il plebeo in tutte le sue necessitá; il plebeo ad onorar l'ottimate suo protettore, ad aiutarlo col suo voto nelle assemblee, pena la morte e l'infamia all'ottimate che tradisca il suo cliente(531). E questo costume parmi molto opportuno a render amiche quelle due parti del popolo che in ogni cittá sono naturalmente discordi, mostrando ai piú miseri, e perciò piú insofferenti, che i grandi non sono tali senza alcuna obbligazione. Questa dovrebbe esser la massima di tutt'i grandi: i nostri eupatridi però o non la conoscono o facilmente la obbliano. Ma, ritornando ai pranzi degl'italiani, un larte, come ti ho detto, mangia quasi al cospetto:del popolo. Un pranzo solenne, nobile è qui una specie di sagrificio. Nella favella italiana il nome dell'una e dell'altra cosa è uno e lo stesso, le stesse ne sono le leggi, e ciò, che la religione vieta di offrire sull'altare agli iddii, non è permesso neanche di porlo sulla mensa per cibo degli uomini(532). Non si mangiano piú di tre vivande.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772