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Qui è nel testo una lacuna. Manca della lettera di Cleobolo la parte piú importante. Quella lettera che segue par che vi abbia qualche rapporto; e talune espressioni, che il lettore avvertirá da se stesso, mostrano che sia di Platone. È da credersi che Cleobolo gli abbia chiesto il suo giudizio e che Platone glielo abbia dato; e siccome in que' tempi i filosofi della Grecia si occupavan molto delle costituzioni degli Stati, cosí è probabile che il giovine Cleobolo gli abbia domandato se potessero convenire ad Atene gli ordini di Roma. Peccato che neanche la lettera di Platone sia intera!
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Io ritrovo ammirabili gli ordini che regolano i giudizi e dividono i poteri.
Noi ateniesi commettiamo i giudizi al popolo o ad un numero di cittadini tanto grande e tanto poco scelto, che ben si può anche esso chiamar popolo. Qual meraviglia che tra noi frequentissime sien quelle sentenze, le quali ci farebbero arrossire, se fosse piú capace di rossore quella cittá nella quale il giudicare è divenuto un mestiere che si esercita per tre oboli a sentenza? Forsi in Roma ed in tutta l'Italia Socrate non sarebbe stato condannato a bever la cicuta.
Il popolo non è mai atto a decidere quelle cose che richieggono animo non occupato da veruna passione. Le numerose assemblee servon solo a render comuni le passioni di pochi. Proponete alle assemblee popolari que' soggetti nei quali l'entusiasmo non può produrre verun dannoso effetto: parlate di pace e di guerra, e fate che il popolo stesso le risolva o le sancisca; cosí voi lo avrete ed in pace piú tranquillo ed in guerra piú coraggioso e piú sofferente de' disagi; parlategli della scelta de' suoi magistrati, perché non s'inganna mai ne' particolari.
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