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      Roma può trarre dall'amicizia nostra quel profitto, che noi non possiamo mai trar dalla sua. Imperciocché, quando avrem divise le poche terre, che ancor rimangono degli ernici e de' volsci, ed io vi aggiungo anche quelle degli ausoni, degli aurunci e de' sidicini, nessun'altra conquista noi potrem fare insiem coi romani. I romani, al contrario, potran conquistare quanto vorranno e nell'Etruria e nelle Gallie: la nostra amicizia giova loro, onde non abbiano a combattere due nemici al tempo istesso. E difatti, se noi avessimo potuto indurci una volta sola a mover le nostri armi contro Roma di concerto coi Galli, per certo che oggi il passaggiero, soffermandosi sui colli che circondano il Tevere, direbbe: - Qui fu Roma. - Ma noi (né di ciò me ne duole) ha tenuto sempre lontani dalla lega de' Galli l'amor della patria e la favella, la religione, i costumi, l'indole diversa; e, lungi dall'unirci ad essi per offender Roma, quell'avanzo dell'esercito di Brenno, che si salvava per la via dell'Apulia, abbiam battuto e distrutto(573). Ecco dunque un vantaggio grandissimo, che Roma ritrae dall'amicizia nostra. Ma, se Roma, superata una volta l'impraticabile selva Ciminia, conquista terre sugli etrusci, sugli umbri, sui Galli, saremo noi invitati, potremo noi esser a parte delle sue conquiste in terre tanto lontane? Ed ivi per i romani sará facile il vincere, facilissimo il conquistare, non trovando altro che popoli o deboli, quali sono gli etrusci e gli umbri, o male ordinati, quali sono i Galli.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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