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      Cosí nella Grecia non vi dovrebbe essere né Atene, né Sparta, né Tebe, né Corinto, né Argo. Non siamo noi tutti greci? Ma ecco che, per non crederci tali, la superba Persia ride delle discordie nostre, ed il gran re insulta le ombre di coloro che lo vinsero inutilmente in Salamina, Maratona e Platea!
      Ti dirň io quello che penso? Giove ha provvidamente nascosto il futuro alla curiositá de' mortali; ma, se non m'inganna un raggio incerto e debole che trapassa pel velo ond'č coperto il domani, mi pare di poter antivedere e predire che la Grecia sará riunita sotto il dominio de' re di Macedonia. Ciň, che in noi non ha potuto la saviezza, lo fará la forza. Conosci tu Filippo? Egli non č un barbaro: egli č l'allievo di Epaminonda. Ma il suo maestro amava la gloria della virtú, ed egli ama la virtú della gloria. La disciplina militare de' greci si corrompe; le forze si consumano nelle vicendevoli guerre; l'opinione degli uomini si stanca tra Sparta ed Atene, tra l'oligarchia e la democrazia. Tutte le cittá son piene di partiti, che chiamano ogni giorno un estero a sostener le loro pretensioni. Credi tu che nessuno invocherá Filippo? Ei si rimescolerá negli affari della Grecia; egli incomincerá dall'attaccare le possessioni che gli ateniesi hanno nella Tracia e nel Chersoneso. Che potran fare gli ateniesi, senza consigli pubblici, senza forze, odiati per la loro insolenza e per l'avarizia loro da tutti gli alleati? Filippo, vincitor degli ateniesi, chi troverá che gli possa resistere?


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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