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      Né mancherá chi ripeta l'entimema che allora fecero i sanniti contro gli etrusci: - Noi siamo i piú forti, dunque noi dobbiamo essere i padroni(590). -
      Ma gli antichi esempi sono perduti per i capuani. La natura ha fatto questo suolo e questo cielo per godere, e non si gode che nel momento presente. Memoria del passato, previdenza di avvenire, sono due flagelli della vita. Di disciplina militare neppur l'ombra. Pare che la natura istessa l'abbia eternamente sbandita da questa cittá(591). Degli affari pubblici si occupan quei solamente che debbono ancor fare una fortuna: chi giá l'ha fatta, non vuole degli affari altro che gli onori esterni, e non sai se sia piú geloso di questi o piú nemico della fatica. Vuole al tempo istesso esser egli il pretore e che un altro eserciti la pretura.
      Ho conosciuto un giovine senatore. Mi ha invitato a lautissima cena. Ho passata tutta la giornata in sua casa. Egli era tutto odoroso di unguenti, e giuocò per molte ore ai dadi. Quando furon le dieci: - Per Giove! - disse - non mi ricordava che oggi si tengono i comizi! Ehi!... - e chiama un suo servo - va' subito nel fòro, e vedi che cosa vi si è fatta; chi ha dato il suffragio e per chi... No: aspetta... Or mi ricordo che debbo uscire io stesso. Vi è una maledetta lite che mi obbliga ad andar in persona al tribunale. Che mestiere facchinesco è mai quello di amministrar la giustizia in una cittá nella quale questa canaglia di popolo non ha ombra di discrezione, e litiga sempre e litiga per tutto, e crede che un giudice sia un verna(592), il quale debba star sempre al suo servizio!


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





Giove