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      - Vedi tu, o buon Cleobolo, quella nave che con vento propizio solca le onde del mare? Una volta il nostro porto n'era pieno; oggi appena se ne vede entrare ed uscir qualcheduna nel giro di una stagione. Questa cittá è sacra a Nettuno; ma il dio le ha dato il suo nome e poi l'ha abbandonata alla propria sorte. Sí, di tutt'i doni del dio noi non conserviamo che il nome e le memorie, nome di obbrobrio e memorie di afflizione, poiché rammentano una prosperitá che non è piú. Gl'iddii, o Cleobolo, o rendan felice la tua patria, o n'estinguano nel tuo petto ogni amore. Bestemmia orribile; sí, orribile, ma inevitabile per chiunque sa di quante gioie è privo, a quanti oggetti non può pensare, senza immergersi in amarissime eterne afflizioni, chiunque ha un cuore che ama veracemente una patria infelice! Che m'inviti tu dunque a rammentare ed a narrarti? Potessi io almeno nudrire in seno qualche speranza di giorni piú lieti. Li nostri rosai schiudon due volte le loro rose(637): la nostra patria, caduta una volta, non risorge mai piú. Ed io talora entro me stesso m'inasprisco contro questo doloroso ma caro costume che ci riunisce ogni anno a rammentar le antiche glorie della patria nostra; e, sebbene non possa frenarmi dal mescer le mie lagrime al pianto comune, pure di tempo in tempo non cesso di dire ai miei compagni: - È forse col pianto che si restauran le cittá? - Il rammentar tra le sciagure l'antica prosperitá sará forse un conforto ai miseri, ma un conforto funesto, perché suole maggiormente invilirli in quella indolenza dalla quale ripetono tutte le presenti sciagure.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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