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      Ora a me piacerebbe di leggere: "N... figlio di N... ha ristabilita la virtú in Atene: gli ateniesi per consiglio ed opra di lui non sono piú ingiusti cogli alleati; i magistrati ed i capitani non sono piú né rapaci né vili; il popolo non perdona né la rapacitá di quelli né la viltá di questi; nelle assemblee non ode piú se non quegli oratori i quali né cieche passioni rendono incapaci di vedere il vero, né infamia di vita rende indegni di dirlo: per consiglio ed opra di lui gli ateniesi attendono piú all'utile fatica, alla temperanza ed alla giustizia che al teatro; hanno espiata la morte di Socrate; preferiscono la pace alla guerra, e nella guerra fidano piú sulle proprie forze che sugli aiuti infedeli e pericolosi del gran re"...
      E questo io vorrei, o mio Cleobolo, che fosse la maggiore utilitá che per te si ritraesse dal tuo viaggio. Tu hai osservato in Italia cittá altre volte gloriose e potenti esser oggi nella miseria e nell'avvilimento. Sibari, Metaponto, Reggio, Capua: quali erano un giorno e quali sono oggi? ove sono la potenza de' messapi e l'antico impero degli etrusci? Altri popoli conservano ancora qualche energia di vita, come li tarantini ed i sanniti. Altri finalmente sorgono dalla miseria e dall'avvilimento e minacciano prender il luogo di quelli che cadono. Se tu chiedi la ragione di questa diversa fortuna, l'uomo del volgo ti conterá le battaglie vinte o perdute, ti calcolerá i prodotti dell'agricoltura, ti misurerá l'estensione del commercio. Ma una battaglia vinta o perduta è un accidente: è simile alla grandine, che distrugge talora un campo, ma non produce mai la distruzione dell'agricoltore.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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