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      Or, dimostrata una volta l'ignoranza di questi, io, che leggo da costoro nominata la cinquantesima di Euclide, ho diritto di conchiudere che questa veritá è giá conosciuta e scoperta. Da chi? Non da colui che me la narra, perché se ne dimostra ignorante; non da un altro scrittore d'ingegno le di cui opere sussistono ancora, perché troverei nelle sue opere istesse le prove della scoperta: dunque da quello al quale egli la attribuisce e del quale le opere non esistono piú. Sembrerá un paradosso, ma pure è una proposizione verissima: nella storia della filosofia, quando lo storico, che narra la dottrina altrui, è ignorante, io debbo prestar piú fede alle veritá che agli errori; e la mia fede sará tanto maggiore quanto piú le veritá, ch'egli attribuisce ad altri, saranno sublimi. Uno scrittore di molto ingegno può talora attribuire ad altri le idee sue; ma lo scrittore ignorante non gli potrebbe attribuir altro di suo che errori.
     
     
      XI
     
      Li canoni, che finora abbiamo stabiliti, pare che ne spingano al pirronismo e sembrano piú atti a distruggere che ad edificare. A poter ricostruire, terremo il seguente metodo:
      1. Ammetteremo come certe tutte quelle tradizioni che ci vengono da Platone o da Aristotele, perché scrittori quasi contemporanei e degni di fede. Nomino questi due soli, perché da essi ci viene la massima parte delle notizie.
      2. Abbiamo de' frammenti degli scrittori pittagorici. Essi debbono reputarsi come uno de' fondamenti principali della storia. Giudizio sopra le due opere attribuite ad Ocello ed a Timeo.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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