Se qualche libro matematico si salva, è per lo piú qualche libro d'istituzioni.
I libri, al contrario, che piú facilmente si conservano sono in primo luogo quelli de' poeti, i piú popolari sempre tra tutti gli scrittori. In secondo luogo i libri di morale, perché la morale appartiene a tutt'i tempi ed a tutte le nazioni. In terzo luogo i libri di aneddoti e di favole.
I romani, le scienze de' quali erano innestate per la maggior parte sulle dottrine degli stoici e degli epicurei, ebbero il torto di non coltivar molto le matematiche. Quindi fu che la loro coltura non ebbe la durata né giunse alla perfezione della greca. Dopo lungo oblio delle matematiche, s'incomincia a poco a poco a trascurar anche il metodo. Si moltiplicano que' compendi enciclopedici coi quali si pretende in due pagine insegnar tutte le scienze ("omne aevum tribus explicare chartis"), e, mentre voglion render le scienze piú comuni, le rendono piú frivole; quelle raccolte di Detti e fatti memorabili, que' Saturnali, quelle Notti ateniesi, quelle Sapienti convivali: consarcinazioni, nelle quali Valerio Massimo, Macrobio, Gellio, Ateneo pare che abbian voluto conservare tutto il sapere degli antichi senza averne il senno. La stessa morale diventa aforistica e ciarliera: alla forza, che viene al discorso dalla dimostrazione e dalla retta associazione delle idee, si sostituisce la pompa ed il peso delle sentenze. Tale è la differenza che passa tra Cicerone e Seneca. Difatti che altro è mai la declamazione? È la smania di voler convincere senza aver l'arte di dimostrare.
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